martedì 18 giugno 2013

La rinascita della Viola.

Spesso ci si scorda che l’Europa League è un torneo europeo di grande valenza, certamente non al pari della Champions, ma fin troppo snobbato dalle “grandi” italiane, che ambiscono tutte alla cosiddetta, appunto, “Europa che conta”. Basta guardare le facce dei giocatori del Chelsea, come disse Pierluigi Pardo, dopo il gol di Ivanovic al 93’ e il fischio finale che sanciva la vittoria sul Benfica, per capire quanto sia importante in realtà questo trofeo. 

Quest’anno in Italia hanno saputo dimostrare di voler veramente battersi per questa competizione principalmente Fiorentina e Udinese, sovrastando squadre non da poco come Inter, Roma e Lazio (che ha però ottenuto l’accesso ai preliminari dopo la vittoria in Coppa Italia), che, puntando disperatamente alla Champions, hanno finito col rimanere a secco. Merito, dunque, a Guidolin, che, nonostante una concorrenza sempre più spietata per l’Europa, con un gruppo ormai privato dei propri gioielli dopo l’ennesima svendita estiva (dopo Sanchez, Inler e Zapata gli anni precedenti, quest’anno Isla e Asamoah), è riuscito a scalare la classifica grazie ad un girone di ritorno travolgente, e a Montella, primo artefice di un gruppo veramente sorprendente.

Dopo una grande stagione alla guida del Catania, Montella è stato chiamato (con grande intuito) dai dirigenti della Fiorentina per far ripartire il progetto della Viola, che l’anno precedente aveva addirittura rischiato la retrocessione. Soprattutto grazie ad acquisti mirati e ben piazzati (uno su tutti Borja Valero), con la velocità che serve nel calciomercato e che oggi manca a molte società, la Fiorentina è effettivamente ripartita e, se il Milan non avesse rimontato contro il Siena, sarebbe addirittura finita a giocarsi un posto in Champions League. Ma, come già detto, i viola si sono dovuti “accontentare” dell’Europa League. Si tratta ovviamente di un grande risultato, riconducibile in primo luogo alla grande preparazione tattica e alle doti umane di un giovane allenatore che, continuando così, potrà arrivare molto in alto. La Fiorentina quest’anno, se si esclude la Juventus, costituisce l’unico vero aspetto positivo del calcio italiano, un gruppo relativamente giovane che basa il suo gioco sul possesso palla e su di una spregiudicata propensione all’attacco, qualunque sia l’avversario. Una squadra, dunque, simbolo di cambiamento che, almeno, ci fa sentire orgogliosi di essere italiani.
Pur avendo un allenatore ormai non più nel fiore degli anni, l’Udinese è invece forse l’unica squadra che punta in maniera molto forte sui giovani, con una fitta rete di talent scout tessuta dai Pozzo in tutto il mondo. A sostituire quindi i grandi che se ne vanno sono ragazzini di 18-20 anni, tra i quali quest’anno spiccano, fra gli altri, Muriel, Zelinski e Pereyra. Contrasto con quello che è il capitano e trascinatore del gruppo, Antonio Di Natale, che, nonostante i suoi 34 anni, è ancora uno dei cannonieri della Serie A. Stesso modulo della Fiorentina, 3-5-2, ma cambia la tattica: l’Udinese tende a far giocare l’avversario e ad aspettarlo per poi ripartire in contropiede, con Muriel e, appunto, Di Natale, che si creano vicendevolmente gli spazi per attaccare in velocità, generando quindi una sorta di 3-4-2-1. Dopo aver sfiorato la Champions per due anni consecutivi, perdendo ai preliminari prima con l’Arsenal e poi con il Braga, quest’anno l’Udinese può essere più che soddisfatta dei propri risultati, se solo si pensa al decimo posto rimediato fino a metà campionato.


(di Jacopo Burgio)

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